“E’ stata appena protocollata un’istanza di accesso su quell’appalto così complicato che quasi certamente ne nascerà un contenzioso”. Gli uffici della Pubblica Amministrazione conoscono bene riflessioni del genere.
Eppure, ricercare su internet qualche suggerimento di risposta serve a ben poco: a quanto pare, la giurisprudenza e la letteratura giuridica sono giunte a conclusioni diametralmente opposte e contrastanti o, in altri casi, hanno riguardato casi talmente specifici da non essere probabilmente attuabili alla nostra ipotesi.
Insomma, come spesso avviene, sembra che il nostro “appalto così complicato” abbia caratteristiche che nessuno ha mai affrontato.
E allora? Rimane il problema di gestire in modo corretto, ma soprattutto “sereno”, le richieste di accesso, con la necessità di farlo entro i termini imposti dalla normativa e con modalità che assicurino la piena osservanza dei principi cui la Pubblica Amministrazione deve uniformarsi, a pena di responsabilità.
Fatte queste considerazioni preliminari, non c’è dubbio che il tema necessita di esperienza, studio e continuo aggiornamento. Ma, detto questo, il nostro obiettivo è ambizioso ma semplice: offrire ai nostri lettori regole “pratiche e sicure” per istruire correttamente le istanze di accesso relative ai contratti pubblici.
Insomma, tra le mille righe scritte su questo tema, abbiamo raccolto quelle soluzioni che risultano applicabili senza timore di incorrere in errori.
Non possiamo garantire che rimarranno immutate, ma in questa eventualità non mancheranno i nostri aggiornamenti.
Passando al cuore dell’argomento, possiamo dire che, in generale, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli artt. 22 e seguenti della Legge n. 241/90 (cd. Legge sul procedimento amministrativo).
A spiegarlo è l’art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016 (cd. Codice dei contratti pubblici), che però indica specifiche eccezioni, principalmente in materia di differimento, esclusione e appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza.
Dunque, con riferimento ai contratti pubblici, assistiamo alla simultanea presenza di diverse forme di accesso, ognuna delle quali disciplinata da una specifica fonte normativa:
- accesso documentale (artt. 22 e segg. della Legge n. 241/90)
- accesso agli atti nei contratti pubblici (art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016)
- accesso civico (artt. 5 e 5bis del D.Lgs. n. 33/2013)
A proposito di quest’ultima voce, ricordiamo che l’accesso civico cd. “semplice” può avere ad oggetto documenti, dati o informazioni che le amministrazioni hanno l'obbligo di pubblicare per esigenze di trasparenza e che non siano stati pubblicati. Viceversa, l’accesso civico cd. “generalizzato” consente a chiunque di richiedere dati e documenti ulteriori rispetto a quelli che le amministrazioni sono obbligate a pubblicare: in tal modo, si intendono favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.
Tuttavia, anche l’accesso civico è soggetto al rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti, essendo previste specifiche forme di esclusione (assolute e relative).
E’ evidente che gli effetti di ciascuna tipologia di accesso mutano al variare della richiesta di ostensione concretamente effettuata. Pertanto, ricevuta l’istanza di accesso, la Pubblica Amministrazione dovrà – prima di tutto – individuare quale normativa sia applicabile al caso concreto.
D’altronde, inquadrare erroneamente l’istanza potrebbe far incorrere la Pubblica Amministrazione in responsabilità dovute alla violazione delle specifiche norme in materia di durata del procedimento, di competenza e individuazione del soggetto chiamato a istruire l’istanza, ovvero dipendenti dall’inosservanza delle regole per l’accoglimento, il differimento o il diniego.
Insomma, un errore nell’individuare la giusta norma regolatrice può costare caro al Responsabile del procedimento.
E allora, come è possibile orientarsi?
Una prima soluzione, certamente raccomandabile, è quella di predisporre una modulistica specifica e separata per le varie tipologie di accesso, in modo da “guidare” il richiedente nella compilazione.
In particolare, l’indicazione pre-compilata dell’Ufficio destinatario e una formulazione che si adatti all’organizzazione interna del singolo Ente possono già aiutare ad istruire correttamente l’istanza, senza correre il rischio che questa si perda nei meandri del protocollo o fra mille documenti aventi natura completamente diversa.
Parallelamente, dovrebbe essere disegnato un procedimento per la gestione delle istanze di accesso, individuando un unico ufficio destinatario, quantomeno in prima istanza, appositamente istruito.
Con particolare riguardo all’accesso civico, la descritta organizzazione consentirebbe al Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza di individuare immediatamente le istanze di accesso e distinguere quello semplice da quello generalizzato, per i quali sono previste regole spesso molto diverse (tempi, competenza, responsabilità, ecc.).
Così organizzati, avremo già percorso un primo passo importante.
Tuttavia, non possiamo escludere l’eventualità di ricevere un’istanza di accesso in carta libera o, peggio, nella quale non è specificata la tipologia di accesso che il richiedente intende esercitare.
In tal caso, interviene in nostro aiuto l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con la recentissima sentenza n. 10 del 2 aprile 2020, finalmente chiarisce il comportamento da adottare in questa evenienza.
Secondo il Giudice Amministrativo, “la Pubblica Amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo […] possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento”.
In altri termini, se è vero che le diverse tipologie di accesso differiscono per finalità, requisiti e aspetti procedimentali, la Pubblica Amministrazione, nel rispetto del contraddittorio con eventuali controinteressati, deve esaminare l’istanza nel suo complesso, evitando inutili formalismi e appesantimenti procedurali tali da condurre ad una faticosa duplicazione del suo esame.
Dunque, laddove non sia individuabile l’esercizio di una specifica forma di accesso, l’Amministrazione è onerata di un esercizio “qualificatorio” quanto mai ampio ai fini dell’evasione della richiesta, considerato che questa, legittimamente, potrebbe essere formulata dal privato, contemporaneamente, con riferimento a più forme di accesso.
Attenzione: fin qui abbiamo detto dell’istanza nella quale non è indicata espressamente ed inequivocabilmente la tipologia di accesso che si intende attivare.
Viene però da chiedersi quale comportamento bisogna adottare nella diversa ipotesi in cui l’istanza è espressamente formulata ai sensi di una specifica legge e, quindi, ricondotta ad una tipologia ben precisa.
Partendo da un caso concreto, l’Adunanza Plenaria spiega che nell’ipotesi di un’istanza presentata ed esclusivamente motivata ai sensi della Legge n. 241/90 (accesso documentale), in relazione alla quale è indiscussa la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, la Pubblica Amministrazione non è chiamata ad esaminare la richiesta anche sotto il diverso profilo dell’accesso civico generalizzato.
Diversamente opinando, si attiverebbe una sorta di diniego difensivo “in prevenzione” su una istanza mai proposta (quella di accesso civico generalizzato), neanche implicitamente, dall’interessato.
In verità, pur condividendo il principio di massima, riteniamo utile evidenziare – senza intento critico – che quanto precisato dal Giudice Amministrativo sembrerebbe non adattabile a casistiche diverse, sebbene l’intento sia quello di risolvere un contrasto interpretativo della giurisprudenza.
In particolare, riguardo all’accesso civico generalizzato, il principio sopra espresso sembrerebbe non collimare con quanto indicato dalla Circolare n. 2/2017, nella quale il Ministero per la Pubblica Amministrazione, ispirandosi alle Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico (deliberazione A.N.A.C. n. 1309/2016), ha evidenziato la necessità di un dialogo cooperativo con il richiedente, per soddisfare l’interesse conoscitivo su cui si fondano le domande di accesso, evitando atteggiamenti ostruzionistici.
Le indicazioni ministeriali, infatti, dispongono (fra l’altro) che l’Amministrazione dovrebbe sempre comunicare con il richiedente per ottenere eventuali chiarimenti circa l’oggetto della richiesta.
Sotto questo profilo, il carattere generico, cumulativo o semplicemente impreciso dell’istanza dovrebbe essere affrontato con un approccio collaborativo della Pubblica Amministrazione, come peraltro auspicato dalla stessa giurisprudenza amministrativa e, in generale, dal complesso normativo e regolamentare in materia di trasparenza amministrativa.
Nella seconda parte di questo approfondimento analizzeremo gli aspetti specifici dell’accesso civico generalizzato nell’ambito dei contratti pubblici.
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