Con la recentissima sentenza n. 3780 del 05/06/2019, il Consiglio di Stato chiarisce i rapporti tra accesso civico generalizzato e accesso agli atti in tema di appalti, superando le posizioni discordanti finora espresse dai Tribunali Amministrativi.
Com'è noto, l'accesso civico generalizzato consente di accedere a dati, documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni ed ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria (art. 5, D.Lgs. n. 33/2013).
Fino ad oggi, una parte della giurisprudenza ha ritenuto che i documenti relativi alle procedure di affidamento ed esecuzione di un appalto erano esclusivamente sottoposti alla disciplina di cui all’art. 53 del Codice degli appalti (D.Lgs. n. 50/2016) e, pertanto, restavano esclusi dall’accesso civico generalizzato (v. T.A.R. Emilia- Romagna, Parma, n. 197/18; T.A.R. Lombardia, Milano, I, n. 630/19).
Al contrario, altre pronunce hanno direttamente riconosciuto l’applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato anche alla materia degli appalti pubblici (v. T.A.R. Lombardia, Sez. IV, n. 45/2019).
Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato spiega la necessità di partire dalla lettura coordinata e dall'interpretazione funzionale delle norme che disciplinano la materia.
Da un lato, l'art. 53 del Codice degli appalti richiama al primo comma la disciplina contenuta nella Legge n. 241/90 (sul procedimento amministrativo), mentre nel secondo comma elenca una serie di prescrizioni riguardanti il differimento dell’accesso in corso di gara.
Dall'altro lato, l’art. 5bis, comma 3 del D.lgs. n. 33/2013, stabilisce che l’accesso civico generalizzato è escluso, fra l’altro, nei casi previsti dalla legge “ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”.
Ma come dobbiamo intendere quest'ultima limitazione?
Il Consiglio di Stato ricorda che l'accesso civico generalizzato mira a garantire il rispetto del principio fondamentale di trasparenza, ricavabile direttamente dalla Costituzione e, pertanto, non è ammissibile escluderlo con riferimento all'intera materia dei contratti pubblici.
In altri termini, è evidente che entrambe le discipline (D.lgs. n. 50/2016 e D.lgs. n. 33/2013) mirano all’attuazione dello stesso identico principio (trasparenza), per cui non v'è ragione per escludere l’accesso civico dalla disciplina dei contratti pubblici.
Sotto questo profilo, non deve sfuggire che l'accesso civico generalizzato (F.O.I.A.) è stato inserito nel nostro ordinamento proprio al fine di favorire forme diffuse di controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, promuovendo così la partecipazione al dibattito pubblico.
Così, le pronunce dei T.A.R. sembrano fondarsi sull'apparente contrasto di norme, che in realtà deriva semplicemente dalla circostanza che la norma istitutiva dell'accesso civico generalizzato (D.Lgs. n. 97/2016, che modifica il D.Lgs. n. 33/2013) è successiva sia al Codice degli appalti (D.Lgs. n. 50/2016), sia alla Legge n. 241/90.
Tuttavia – spiega il Consiglio di Stato – secondo un'interpretazione conforme all’art. 97 Cost. e considerate le finalità di legge, l'accesso civico generalizzato deve avere un “impatto orizzontale”, che non può essere limitato da norme preesistenti e (per questo) non coordinate con il nuovo istituto.
Pertanto, gli unici limiti all'accesso sono quelli espressi dalle prescrizioni “speciali”, perciò interpretabili restrittivamente, che la stessa nuova normativa ha introdotto al suo interno (art. 5bis, D.Lgs. n. 33/2013).
Con riferimento alle procedure di appalto, la possibilità di accesso civico generalizzato – una volta conclusa la gara e, cioè, venuta meno la necessità di garantire la par condicio dei concorrenti – deve certamente essere riconosciuta, rispetto ai dati, documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni ed ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria.
Ciò risponde, secondo il Giudice amministrativo, ai canoni generali di “controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 33/2013), nonché all'esigenza specifica, più volte riaffermata nell’ordinamento nazionale ed europeo, di procedure di appalto trasparenti, anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione.